Il disturbo di panico è caratterizzato da esperienze di attacchi di panico inaspettati e ricorrenti, cui fanno seguito per un periodo non inferiore a un mese, persistenti preoccupazioni di poter avere nuovi attacchi. Inoltre sono presenti significative alterazioni del proprio comportamento in rapporto a detta preoccupazione. Il disturbo di panico ha frequenza 2-3 volte superiore nel sesso femminile. L’età di esordio è compresa tra la tarda adolescenza e i 35 anni. Alcune prove dimostrano il contributo genetico allo sviluppo del disturbo. E’ riferito un desiderio impellente di fuggire dal luogo in cui si sta manifestando l’attacco e/o di raggiungere un “posto sicuro”. Nel prosieguo del tempo il paziente diventa sensibile a luoghi e situazioni dove ha sperimentato il panico. E’ possibile che ritornando in dette situazioni egli abbia una probabilità più elevata di avere un nuovo attacco, e ciò per un comunissimo processo di condizionamento classico. E’ anche possibile che in seguito il paziente tenda ad evitare quei luoghi e quelle situazioni e che provi forte ansia solo al pensiero di doverle affrontare. Ciò che più frequentemente accade è che si faccia accompagnare in detti luoghi da persone fidate. La terapia del comportamento ha considerato gli attacchi di panico anche dal punto di vista psicofisiologico, riscontrando una notevole analogia con la “sindrome da iperventilazione”. Questo fenomeno si manifesta quando la respirazione eccede le necessità fisiologiche di ossigenazione del sangue e di eliminazione del diossido di carbonio. I sintomi dell’iperventilazione sono molto simili a quelli del panico. (vedi caso di Marco)
Una delle procedure più utili nell’assessment è la “prova di iperventilazione”, che consiste nel calcolare insieme al paziente il numero di atti respiratori in un minuto: se sono superori a 10 il soggetto sta iperventilando.
I modelli eziopatogenetici del disturbo di panico più tradizionali sono:
-il modello di Goldstein e Chambless (1978) che si basa sulle teorie dell’apprendimento ed enfatizza il ruolo della “paura della paura”, simile al condizionamento enterocettivo di Razran (1961) in cui le sensazioni somatiche divengono stimoli condizionati di risposte condizionate di panico. Secondo questi autori il soggetto che esperisce uno o più attacchi di panico diviene molto attento ad ogni sensazione proveniente dal proprio corpo, e tende ad interpretarla spesso come il segnale di un nuovo imminente attacco.
-il modello di Rapee (1987) che ipotizza che:
1- il soggetto disponga di schemi cognitivi catastrofizzanti che siano deputati all’analisi delle sensazioni somatiche
2-che gli stimoli enterocettivi siano di per sé neutri e che vengano successivamente trasformati in sensazioni terrorizzanti come risultato delle distorsioni introdotte in tale analisi
3-che il disturbo si mantenga grazie ad apprensione e ipervigilanza nei confronti delle sensazioni somatiche
-il modello di Clark (1986) è attualmente uno dei più esplicativi circa l’insorgenza degli attacchi di panico associata a fattori cognitivi, grazie anche al supporto di numerose evidenze sperimentali. Questo modello si ricollega a quello precedentemente illustrato e ritiene che il disturbo di panico sia il risultato di interpretazioni catastrofiche relative a normali sensazioni corporee. Il costante monitoraggio di dati provenienti dal proprio corpo e dall’ambiente favorisce un costante stato di apprensione per la minaccia incombente che si verifichi un attacco. Questo stato contribuisce ad un concreto innalzamento del livello d’ansia, che intrappola il soggetto in un circolo vizioso in cui i sintomi dell’attivazione confermano l’interpretazione erronea, che a sua volta incrementa l’ansia. Subentrano poi almeno tre fattori di mantenimento di questa “trappola” psicofisiologica: l’attenzione selettiva riguardo alle sensazioni corporee, i comportamenti protettivi associati alla situazione e i comportamenti di evitamento. Oltre ai modelli cognitivi, vi sono alcuni modelli del disturbo di panico che si rifanno più tipicamente alle teorie dell’apprendimento:
-la teoria di Barlow (2002) in questo modello l’attacco di panico (o “flight or fightresponse”) è inteso come una risposta incondizionata di paura che può capitare contestualmente ad un pericolo reale oppure al momento sbagliato, quando cioè non vi è alcun pericolo reale (situazione di “falso allarme”). Per motivi di adattamento il consolidarsi dell’associazione tra questo tipo di risposte emozionali e determinati fattori contestuali è assai veloce, e può favorire il rapido insorgere di quell’improvviso stato di attivazione che fa da innesco all’attacco di panico.